Mi sembra questa una “ghiotta” occasione per scrivere un panegirico su una componente della nostra alimentazione che tanto piacere da al mio palato…..
L’intento sarà di elogiare le virtù del “formaggio” dal punto di vista del gusto, delle caratteristiche nutrizionali, delle ricadute “positive” sulla salute; come ho già fatto per il burro cercherò di smontare l’insieme di pregiudizi che circolano sui formaggi, sulla loro presunta pericolosità. Credo che sia venuta finalmente l’ora di gustare un pi
acere così intenso senza il retrogusto amaro del senso di colpa, in ossequio al vecchi adagio che le “cose saporite fanno male…”. Il mio è , possibilmente, un inno alla riconquista, attraverso la conoscenza, del piacere a tavola secondo il più epicureo dei pensieri : Nessun piacere è di per sé stesso un male: ma i mezzi per procurarsi certi piaceri arrecano molti più tormenti che piaceri (Epicuro).
E’ innegabile che in Italia, addentrarsi nell’universo dei formaggi, sia un percorso affascinante, per i riflessi che ha sulla storia della nostra penisola; basti pensare che il formaggio di “fossa” nasce come precauzione contro le ruberie di cibo operate da eserciti amici o nemici nei confronti dei contadini produttori…
La storia del formaggio vede origini antichissime, quando l’uomo ha imparato ad utilizzare il preziosissimo latte; il nome deriva dal greco “formos” forma, che era un paniere di vimini nel quale veniva messa la cagliata per conferire la “forma”: da qui fromage, e formaggio in italiano.
E’ del 2014 la scoperta, in alcune mummie ritrovate in un deserto cinese, di residui di un formaggio, come supporto per il viaggio nell’aldilà, ottenuto da coagulazione lattica, ovverossia senza l’utilizzo del caglio, ma con fermenti lattici.
Ma cosa intende la legge per formaggio? “Il nome di formaggio o cacio è destinato al prodotto che si ricava dal latte intero, ovvero parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale da cucina”.
In base al tipo di latte si distinguono: formaggi vaccini, pecorini, caprini e bufalini; ovviamente il latte deve provenire da animali sani, non affetti da infiammazione delle mammelle e in assenza di terapie antibiotiche che modificherebbero la cagliata.
Dalla mungitura in poi ci possiamo inoltrare in un mondo affascinante e complesso che è quello del mastro casaro, che tratterà il latte per forgiarlo ad una forma, consistenza e sapore nuovi, novello Titano. In questa fase entrano in gioco le peculiarità territoriali, le tradizioni, il rendere sempre vivo un metodo di trattamento del latte che affonda le sue radici nel profondo passato. La nostra Italia ha la capacità di produrre una notevole varietà territoriale in formaggi, espressione di una cultura millenaria.
Ma come possiamo classificare i formaggi? Essenzialmente in rapporto alla maturazione ed alla consistenza:
• formaggi freschi: sono senza maturazione come il mascarpone (ottenuto per coagulazione acida), le caciotte ed i formaggi cremosi
• formaggi a pasta molle e maturazione rapida entro 10 – 30 giorni come la crescenza . la robiola, lo stracchino

• formaggi a pasta molle e tempi medi di maturazione (1-6 mesi) come il caciofiore, il gorgonzola, il pecorino ed il taleggio
• a pasta filata come la mozzarella, il caciocavallo, il provolone e la scamorza

• a pasta dura con maturazioni più prolungate (12-18 mesi) come il Parmigiano Reggiano, il Grana, il Pecorino romano, l’AsiagoilMontasio

In questo elenco striminzito c’è solo una parte minima dell’immenso PIACERE rappresentato dal mondo dei formaggi in Italia (e non voglio essere limitato… in questo piacere rientrano a pieno titolo anche i formaggi esteri…); per troppo tempo un battage pubblicitario e simil salutistico ha gettato fango su questo tipo di alimenti. Io credo che bisogna restituire a
lle persone che, nonostante la “cattiva” informazione, memori dell’italico “me ne frego” hanno continuato a mangiare formaggi, la consapevolezza che non stavano bellamente facendo un danno alla propria salute, un attentato alle proprie coronarie…
Vogliamo dire che è stata la mancata conoscenza dei meccanismi intrinseci di formazione della placca aterosclerotica la responsabile di questa cattiva informazione? Forse si.
Certamente è prevalso un criterio interpretativo semplicistico: come si diceva che assumere tante calorie faceva ingrassare, così assumere molti grassi faceva aumentare il colesterolo; sempre la logica del due più due fa quattro…purtroppo o per fortuna non siamo così banalmente semplici.
Come ho già detto, anche in altri articoli, la madre di tutti i guai metabolici è rappresentata dall’aumento dell’insulinemia
che nel tempo conduce a resistenza insulinica, elemento base della sindrome metabolica.
La sindrome metabolica è stata definita alcuni anni fa come la coesistenza di ridotta tolleranza ai glucidi, aumentata resistenza insulinica, obesità addominale, colesterolo HDL basso, ipertrigliceridemia ed ipertensione.
Oggi altri fattori si sono aggiunti nella definizione della sindrome metabolica e sono rappresentati da un aumento del PAI ovverossia dell’inibitore del plasminogeno e della PCR cioè della Proteina C reattiva. Sappiamo perfettamente come la PCR sia un prodotto di difesa dell’adipocita bianco, quando la raggiunge la dimensione critica, cioè la dimensione prerottura, data dall’eccessivo accumulo di trigliceridi all’interno dell’adipocita stesso, generato, guarda un po’ dall’insulina.
Certamente è bene però dare a Cesare quel che è di Cesare: non è l’insulina in quanto tale a generare tutti i problemi metabolici e aterosclerotici ma è la resistenza insulinica ad apportare grossi guai. L’insulina entra in un meccanismo fisiologico “vitale” e sono state dimostrate capacità antinfiammatorie dell’insulina stessa; è il cattivo funzionamento dell’insulina, legato ad una alimentazione eccessivamente ricca in carboidrati semplici e troppo raffinati, a farla diventare un elemento infiammatorio.
Ma l’insulina ha anche altri effetti benefici: ha un effetto vasodilatante, di riduzione dello stress ossidativo, un effetto profibrinolitico, di cardioprotezione e di inibizione dell’aggregazione piastrinica; ma tutto ciò avviene alle concentrazioni normali; quando l’insulina malfunziona arreca gravi danni.
La descrizione dei danni da insulina è importante per comprendere come un aumento del colesterolo, possa essere insignificante in assenza di una insulina infiammatoria. Un dato importante è rappresentato dal rischio cardiovascolare legato alla glicazione del collageno arterioso(cioè al legame patologico tra glucosio e collagene)
, che alterando la permeabilità dell’endotelio vascolare facilità l’ingresso del colesterolo cattivo nella parete arteriosa, provocando lo sviluppo della placca aterosclerotica.
La conclusione che voglio suggerire, rispetto all’apologia del formaggio, è che i danni determinati dai lipidi si realizzano su arterie infiammate da un eccesso di insulina, legato ad una alimentazione fortemente carboidratica. Non bisogna sentirsi in colpa se, con moderazione, anche 3-4 volte la settimana mangiamo formaggi: avremo la giusta attenzione nel preferire formaggi freschi, caprini e ridurremo le volte con i formaggi più stagionati; in ogni caso raccomando sempre di associare, alla degustazione di piccole porzioni di formaggio, sempre abbondanti quantità di verdure crude e cotte al vapore, per aumentare considerevolmente la quota di fibre a livello intestinale, che fungono da barriera meccanica all’assorbimento dei lipidi.
